Storie di Storia / 6. Tutankhamon. La leggenda del giovane Re - la Repubblica

2023-01-05 16:53:31 By : Mr. Hua Lin

Tema del sesto numero di Storie di Storia, la newsletter de La Repubblica, è Tutankhamon, il faraone egiziano scomparso nel 1323 a.C. Vi raccontiamo l’incredibile ritrovamento della sua tomba, avvenuto 100 anni fa nella Valle dei Re, grazie all’archeologo inglese Howard Carter, che gli diede una nuova vita dopo essere penetrato per primo nelle stanze segrete della sepoltura del faraone più di 3.000 anni dopo la sua morte. Leggerete le testimonianze di chi ha studiato il breve regno di Tutankhamon, scomparso a 19 anni, e di chi ha fotografato il suo meraviglioso tesoro. La storia della più importante civiltà agricola dell’umanità ha nella vicenda di questo giovane re una delle pagine più leggendarie. Buona lettura.

“Vedi qualcosa?”  “Si, qualcosa di meraviglioso”

Cento anni fa, nel mese di novembre del 1922, un gruppo di archeologi guidato da Howard Carter e Lord Carnarvon riuscì a penetrare per primo nelle stanze segrete della sepoltura del faraone Tutankhamon, sopravvissute ai secoli e alle razzie dei predoni. Gli scavi misero in luce un tesoro insospettato di arredi funebri e di suppellettili della vita quotidiana di allora – più di 5mila oggetti preziosi di diverso tipo, statue divine, umane e animali, sarcofagi, un trono, letti, catafalchi, cocchi, cofani, armi, arnesi, gioielli, vasi canopi con gli organi estratti dal corpo del sovrano – contribuendo ad approfondire notevolmente la conoscenza dell’arte e della società egizie del XVI secolo avanti Cristo. Il racconto di quella leggendaria scoperta è narrato dall’autore nei suoi diari pubblicati da Garzanti nel libro Tutankhamen. Il mistero di un faraone e l’avventurosa scoperta del suo tesoro. Howard Carter (1874-1939) è stato tra i più celebri archeologi della storia. Fra il 1891 e il 1899 lavorò all’Egypt Exploration Fund e più tardi divenne ispettore capo alla sezione antichità del governo egiziano. A lui si devono le scoperte delle tombe di Thutmosi IV, di Hatshepsut e, in collaborazione con Lord Carnarvon, di Tutankhamon e di Amenofi I. La figura del giovane sovrano emerge, forte e suggestiva, dagli oggetti che gli sono appartenuti, mentre il minuzioso racconto dell’archeologo Carter fa rivivere con immediatezza e trasporto le aspettative e le sorprese di un’impresa archeologica che ha fatto storia. Storie di Storia, per gentile concessione dell’editore, pubblica un estratto del libro.

Di Howard Carter  Era il nostro ultimo periodo di lavoro nella Valle, dove avevamo scavato per sei stagioni intere senza alcun risultato; per mesi avevamo lavorato con il massimo impegno senza trovare nulla, è solo uno scavatore sa quanto ciò sia deprimente. Stavamo per dichiararci sconfitti e ci preparavamo a lasciare la Valle per cercare miglior fortuna altrove, quando, proprio all’ultimo colpo di zappa, facciamo una scoperta che superava di gran lunga i nostri sogni più rosei. In tutta la storia degli scavi archeologici, mai un’intera stagione di ricerche è stata compressa nell’arco di soli cinque giorni. Cercherò ora di raccontare nei particolari questa storia. Non sarà facile, poiché il ritrovamento iniziale fu così improvviso e inaspettato da lasciarmi sconcertato, e d’altro canto i mesi successivi furono talmente ricchi di avvenimenti che non ebbi il tempo di riflettere. Raccontando le cose con ordine riuscirò forse a rendermi conto di quanto è accaduto e a comprenderne tutto il significato. (...) Il 4 novembre notai, arrivando, un insolito silenzio, i lavori erano fermi: doveva essere accaduto qualcosa di straordinario. Fui salutato subito con l’annuncio che, sotto la prima baracca demolita, si era trovato un gradino tagliato nella roccia. Sembrava troppo bello per essere vero, ma bastò ripulire ancora un poco per scoprire che eravamo realmente in presenza di una ripida rampa incassata, circa 4 metri sotto l’ingresso alla tomba di Ramses VI, e a un’analoga distanza dall’attuale livello del fondo della Valle. La rampa era stata tagliata nella roccia secondo una tecnica comune alle altre gradinate di ingresso incassate della Valle, e per un attimo sperai di avere trovato finalmente la tomba tanto ricercata. Il lavoro continuò febbrile per tutta la giornata e il mattino successivo; ma solo nel pomeriggio del 5 novembre riuscimmo a togliere completamente la massa iniziale di detriti che riempiva il vano della rampa e a individuare i margini esterni della scalinata in tutti i suoi quattro lati. Era ormai chiaro, di là da ogni dubbio, che ci trovavamo di fronte all'ingresso di una tomba. (...) Il lavoro di scavo avanzava più rapidamente; i gradini venivano alla luce uno dopo l’altro e alla fine, giunti al dodicesimo, apparve rivolta a ponente la parte superiore di una porta ermeticamente chiusa, intonacata e sigillata. Una porta sigillata: dunque era vero! Con crescente eccitazione, quasi febbrilmente, esaminai le impronte dei sigilli sulla porta per scoprire l’identità del proprietario della tomba, ma non trovai nessun nome: le sole impronte decifrabili erano quelle del noto sigillo della necropoli reale, con lo sciacallo e i nove prigionieri. Due elementi, però, erano chiari: anzitutto l’uso di questo sigillo dimostrava sicuramente che la tomba era stata costruita per un personaggio di altissimo rango; e in secondo luogo, la parte murata era nascosta dalle baracche costruite nel corso della XX dinastia, prova evidente che almeno da quel periodo in poi nessuno vi era penetrato. (...). Mentre esaminavo i sigilli notai in cima alla porta, in alcuni punti dove l’intonaco si era scrostato, un enorme architrave di legno. Per scoprire come era stata bloccata la porta, praticai sotto l’architrave un piccolo foro, largo abbastanza da inserirvi una torcia elettrica. Vidi così che il corridoio oltre la porta era ostruito per tutta l’altezza da pietrame, e questa era un’altra prova dell'accuratezza con cui la tomba era stata protetta. Per uno scavatore, il momento era davvero emozionante. Mi trovavo da solo, salve qualche operaio indigeno, alle soglie forse di una splendida scoperta, oltre quel corridoio poteva esserci qualsiasi cosa – letteralmente, qualsiasi cosa – e ci volle tutto il mio autocontrollo per non battere subito la porta ed esplorare tutto. (...) Naturalmente, avrei desiderato procedere subito agli scavi necessari per stabilire tutta la portata di questo ritrovamento, ma lord Carnarvon era in Inghilterra, e per lealtà nei suoi confronti dovevo rinviare ogni cosa fino al suo arrivo. La mattina del 6 novembre gli inviai il seguente cablogramma: «Finalmente fatta splendida scoperta nella Valle; magnifica tomba con sigilli intatti, richiusa in attesa vostro arrivo; congratulazioni». (…) L’8 novembre avevo ricevuto da lord Carnarvon due messaggi in risposta al mio cablogramma. Il primo diceva: «Arriverò appena possibile»; il secondo, giunto poco dopo: «Arrivo Alessandria previsto per giorno 20». Avevo 15 giorni da dedicare ai vari preparativi, in modo da essere pronto, al momento della riapertura della tomba, ad affrontare ogni possibile situazione senza alcun indugio. Il 26 novembre fu il giorno cruciale, il più bello della mia vita, tanto che non potrei sperare di viverne un altro simile. Per tutta la mattina continuammo i lavori di sgombero, procedendo con forzata lentezza a causa dei fragili oggetti mescolati al pietrame di riempimento. A metà pomeriggio, una decina di metri dopo la prima porta, ne venne alla luce una seconda, murata e sigillata, che era una replica pressoché esatta della prima. Le impronte dei sigilli qui erano meno nitide, ma il segno di Tutankhamon e quello della necropoli reale erano ancora distinguibili. Di nuovo sull’intonaco trovammo tracce di apertura e di chiusura, e ormai eravamo fermamente convinti che si trattasse di un nascondiglio, e non di una tomba. (...) Ben presto tutto si sarebbe chiarito: bastava abbattere la porta murata per trovare una risposta alle nostre domande. Pian piano, con una lentezza che ci sembrò esasperante, tutti i detriti che ricoprivano la parte inferiore della porta furono sgomberati, e infine il muro di chiusura venne interamente alla luce. Era giunto il momento decisivo. Con mani tremanti praticai un piccolo foro nell’angolo in alto a sinistra. L’oscurità e il vuoto incontrato da una sbarra di ferro spinta fin dove fu possibile ci rivelarono che, qualunque cosa si trovasse oltre quel muro, c’era uno spazio libero e non uno sbarramento di detriti come nel corridoio appena ripulito. Facemmo alcune prove con la candela, per cautelarci contro eventuali fughe di gas, e infine, ampliando un po’ il foro, vi inserii una candela e scrutai dentro. Lord Carnarvon, Lady Evelyn e Callender mi stavano alle spalle, in ansiosa attesa. Sulle prime non riuscì a distinguere nulla, perché dalla stanza veniva un soffio di aria calda che rendeva la fiamma tremolante; poi man mano che i miei occhi si abituavano al buio, i particolari del locale emersero lentamente dall’oscurità: animali dall’aspetto strano, statue oro, ovunque il luccichio dell’oro. Per un attimo – che dovette essere sembrato un’eternità a quanti mi attorniavano – rimasi muto dallo stupore, e quando Lord Carnarvon, incapace di attendere oltre, mi chiese ansiosamente: «Riuscite a vedere qualcosa?», fui solo capace di rispondere: «Sì, cose meravigliose». Allora il foro fu ampliato ancora un poco, in modo che tutt’e due potessimo vedere, e illuminammo il vano con una torcia elettrica. Credo che la maggior parte degli scavatori abbia provato un senso di timore – d’imbarazzo – penetrando in una stanza chiusa e sigillata da pie mani tanti secoli prima. Per un attimo il tempo, fattore della vita umana, perde tutto il suo significato. Tremila o magari quattromila anni sono trascorsi da quando un piede umano ha calpestato per l’ultima volta il suolo su cui vi trovate. (...) La stessa aria che respirate, rimasta immutata nei secoli, è ancora quella che respirano coloro che posero la mummia a giacere nel suo riposo. Il tempo si annulla in questi piccoli dettagli, e voi vi sentite un intruso. In tutta la storia degli scavi, non si era certo mai visto uno spettacolo stupefacente come quello che si rivelò ai nostri occhi alla luce della torcia. Le fotografie pubblicate furono scattate in seguito, quando ormai la tomba era aperta e si era installata la luce elettrica. Bisogna immaginare come apparvero a noi gli oggetti da quel piccolo foro praticato nel muro chiuso e sigillato, rischiarati dalla luce della torcia – la prima luce penetrata nell'oscurità di quella stanza dopo 3000 anni – che si spostava da una parte all'altra, nel vano tentativo di individuare i tesori che stavano dinanzi a noi. L’effetto fu al tempo stesso elettrizzante e sconcertante. Prima di allora forse non avevamo mai immaginato esattamente che cosa ci aspettavamo di vedere, tuttavia mai ci saremmo sognati una cosa del genere: un locale, addirittura quasi un museo colmo di oggetti, alcuni dall’aspetto familiare, altri mai visti prima, ammucchiati l’uno sull’altro in numero infinito. Man mano che la scena si illuminava, riuscimmo a distinguere i singoli oggetti. Anzitutto proprio di fronte a noi c’erano tre grandi giacigli dorati (sin dal primo istante eravamo consapevoli della loro presenza, ma ci rifiutavamo di credere ai nostri occhi), con i fianchi in forma di animali mostruosi dal corpo curiosamente assottigliato, data la loro funzione, ma con le teste di un sorprendente realismo. Animali strani in ogni caso, ma come li vedemmo noi in quel momento, luccicanti nelle tenebre al chiarore della torcia elettrica, come sotto un riflettore, le loro ombre grottesche proiettate sulla parete, essi apparivano quasi terrificanti. Poi, sulla destra, due statue attirarono la nostra attenzione: erano figure di aspetto regale, alte quanto un uomo e di colore scurissimo, disposte l’una di fronte all'altra come due sentinelle, con sandali e gonnellini d’oro, armate di mazza e di lancia, e l'immagine protettiva del cobra sacro alta sulla loro fronte. Queste figure dominavano l’intera scena e i nostri occhi si appuntano anzitutto su di esse. © 2006, Garzanti Srl., Milano. Traduzione del libro di Maurizio Vitta.

Paola Buzi è professore ordinario di Egittologia e Civiltà Copta alla “Sapienza” Università di Roma, professore onorario di Egittologia alla Universität Hamburg e Principal Investigator del progetto ERC “PAThs”. Ha scritto per Carocci Editore La letteratura egiziana antica. Opere, generi, contesti. Storie di Storia ha conversato con lei.

Dodicesimo faraone della XVIII dinastia, Tutankhamon regnò durante l’epoca chiamata “Nuovo Regno”. Che età fu per l’Antico Egitto?  «Il Nuovo Regno viene normalmente definito dagli egittologi come la fase “imperiale” della lunga storia dei faraoni. L’Egitto raggiunse infatti la sua massima espansione, soprattutto grazie alle imprese militari di Tuthmose III (1481–1425 a.C. circa), che con la celebre battaglia di Megiddo, città in cui il principe di Qadesh aveva radunato una coalizione per opporsi agli Egiziani, ottenne il pieno controllo dell’area siro-palestinese. Fu quella, del resto, solo la prima delle quindici spedizioni condotte da Tuthmose III, che resero l’Egitto un regno potentissimo, anche grazie alla possibilità di mettere a frutto le più recenti innovazioni tecnologiche dell’arte militare (il carro da guerra, il cavallo usato a fini bellici e l’arco composito) introdotte dagli Hyksos. Tuthmose III era stato preceduto da altri due sovrani il cui regno fu prospero e glorioso, Tuthmose I (1493 - 1482 a.C. circa), suo nonno, e Hatshepsut (1513/1507 - 1458 a.C. circa), sua matrigna, tutrice e “usurpatrice”. Più breve ed evanescente il regno di suo padre Tuthmose II, marito e fratellastro di Hatshepsut, che non regnò più di tre o quattro anni. Nonostante il controverso rapporto tra Tuthmose III e Hatshepsut, e sebbene il regno di quest’ultima sia stato militarmente meno aggressivo, l’Egitto sotto il controllo della regina fu commercialmente attivissimo. Alcune delle sue innovazioni religiose, inoltre, vennero mantenute anche dai suoi successori. La potenza e il prestigio dell’Egitto si mantennero inalterati fino al regno di Amenhotep (o Amenofi) III (1390-1350 a.C. circa), prolifico costruttore – suoi sono i cosiddetti colossi di Memnone che, con molte altre statue, presidiavano il suo tempio funerario sulla riva ovest di Tebe – e abile politico, come dimostrano le “Lettere di Amarna”, una raccolta di tavolette d’argilla, scritte nella lingua diplomatica del tempo, l’accadico, che preservano la corrispondenza diplomatica tra l’Egitto e numerosi regni, di diverso prestigio e peso politico, del Vicino Oriente. Un vero e proprio archivio del ministero degli Esteri egiziano. Tutto cambiò con suo figlio, Amenhotep (Amenofi) IV, il quale nel quinto anno di regno mutò il suo nome in Akhenaton, “Utile ad Aton”, facendo del disco solare, nella sua materialità, il fulcro del proprio enoteismo e spostando la capitale da Tebe ad Akhetaton (o Akhetaten), “l’orizzonte di Aton”, l’odierna Tell el-Amarna. Un particolare accanimento il sovrano dimostrò contro il culto di Amon e del suo potente sacerdozio, residente soprattutto nel tempio di Karnak. Una rivoluzione religiosa, politica e iconografica senza precedenti, che venne percepita dai successori come una deviazione dalla Maat (l’ordine cosmico). Alla sua morte, sopraggiunta dopo diciassette anni di regno, ogni impresa di Akhenaton venne cancellata, i suoi monumenti distrutti, la nuova capitale e la relativa necropoli, non ancora completata, abbandonate. È in questo complesso quadro che si inserisce Tutankhamon. Dopo un paio di regni brevissimi, tra cui quello del problematico Smenkhara, sulla cui identità si continua a discutere, Tutankhamon, che ancora portava il nome di Tutankhaton – segno che il passaggio dall’“eresia” amarniana al ritorno all’“ortodossia” e il ristabilimento del culto di Amon richiese qualche tempo –, salì al trono giovanissimo e dunque inabile a governare autonomamente».      Cosa sappiamo della vita di Tutankhamon e della sua morte? Quali punti rimangono ancora oscuri nella sua vicenda? «Poco è noto della vita di Tutankhamon, ma quel che è certo è che il suo regno non fu memorabile, come dimostra anche il poco impegno riservato alla costruzione della sua tomba (KV [=Kings Valley] 62), piccola, disadorna e tecnicamente mal eseguita. Probabilmente cagionevole fin dalla tenera età, come hanno dimostrato le analisi condotte sul suo corpo, non ebbe né il tempo né il carisma per lasciare un segno nella storia egiziana. Altri hanno deciso per lui che indirizzo dare al regno e tra questi il suo successore Ay, un alto funzionario originario di Panopoli, che in uno dei pochi dipinti della tomba di Tutankhamon è rappresentato, avvolto nella pelle di leopardo, nell’atto di celebrare la “cerimonia di apertura della bocca” nei confronti del sovrano defunto». Il giovane re, non appena salito al trono, sposò la principessa Ankhesenpaaton (“Che possa vivere per Aton”), poi ridenominata Akhesempaamon, figlia di Akhenaton e di Nefertiti. A Tutankhamon, che presto dovette abbandonare Akhetaton per Menfi, venne affiancato un “Consiglio di reggenza”, composto da Ay, da Maya, sovrintendente reale e poi sovrintendente della necropoli reale tebana, e dal generale Horemheb, destinato a sua volta divenire sovrano, l’ultimo della XVIII dinastia, dopo Ay. Il “Consiglio di reggenza” si dette il compito di ripristinare l’ordine non solo all’interno del paese, provato dalla riforma di Akhenaton, ma anche il prestigio internazionale, molto appannato a causa della politica inerte del “faraone eretico”. Tra gli aspetti che rimangono ancora da chiarire è l’esatta successione tra Akhenaton e Tutankhamon, così come l’identità della regina vedova che scrisse al re degli Ittiti, Šuppiluliuma, per chiedergli di inviarle un principe da sposare, che avrebbe conseguentemente regnato come faraone (“mio marito è morto improvvisamente e non ho figli, mentre, a quanto mi dicono, a te i figli non mancano. Se tu me ne inviassi uno, io lo farò re dell’Egitto...”). Un fatto inaudito per l’Egitto! Il principe, dopo un sollecito da parte dell’ignota vedova, viste le comprensibili titubanze del re ittita, partì ma non arrivò mai in Egitto… Qual è l’identità della regina vedova? Si tratta di Nefertiti o, più probabilmente, della moglie di Tutankhamon? Purtroppo i nomi dei protagonisti della vicenda sono espressi in accadico nella corrispondenza diplomatica e non si riesce a dedurne la forma originaria. Non del tutto comprensibili sono anche le ragioni della morte del sovrano. Egli soffriva di malaria, ma era una condizione molto diffusa all’epoca. Il suo piede destro presentava il cosiddetto Morbo di Köhler (anche detto “piede equino”), mentre il secondo dito del piede sinistro era mancante di una falange, condizioni che, unite a una frattura della gamba sinistra, non ancora ricomposta al momento della morte, determinarono la necessità di servirsi di un bastone per la deambulazione. In effetti il corredo funerario di Tutankhamon comprende più di cento bastoni, molti dei quali presentano tracce di usura. Nessuno di tali problemi fisici, benché invalidanti, sembra tuttavia essere stata la causa del decesso. Recentemente, un’equipe britannica, composta anche da periti legali, ha ipotizzato che il sovrano sia morto a causa del violento impatto tra la parte sinistra del suo corpo e un oggetto di grandi dimensioni, forse un carro. Tale ipotesi si basa sul fatto che lo scheletro di Tutankhamon, che va precisato essere non in buono stato, presenta significative lesioni nella parte sinistra del bacino, della cassa toracica e della gamba. Il cuore, inoltre, è mancante, forse a causa del fatto che era troppo compromesso per poterlo imbalsamare e ricollocare all’interno del corpo, come era d’uso fare. Se tale ipotesi si rivelasse vera – e di certo è plausibile – Tutankhamon non sarebbe morto in battaglia e neppure a causa di un attentato, come in passato si è sostenuto, ma per un incidente».   Akhenaton fu il padre di Tutankhamon? Tra loro ci fu grande diversità nell’aspetto religioso? «A seguito delle ultime sofisticate analisi, condotte nell’ambito del King Tutankhamun Family Project, è stato possibile stabilire ciò che si sospettava da tempo: Tutankhamon è certamente figlio di Akhenaton. Non è tuttavia figlio di Nefertiti. La madre del giovane re è stata identifica nella cosiddetta Younger Lady, nome che designa una mummia femminile rinvenuta nella Valle dei Re da Victor Loret nel 1898. Purtroppo si ignora l’identità di questa donna, che tuttavia si ritiene sia stata una figlia di Amenhotep III e della sua grande sposa Tiy e dunque sorella e consorte (sebbene non grande sposa) di Akhenaton. Come si è avuto modo di spiegare, Tutankhamon inizialmente deve aver seguito inconsapevolmente le orme del padre, ma molto presto, per iniziativa del già menzionato “Consiglio di reggenza”, si restaurò il culto di Amon, pur avendo cura di controbilanciare il potere dei suoi sacerdoti – tanto osteggiati da Akhenaton, ma non solo – con la valorizzazione di altri centri religiosi, una pratica sapientemente portata avanti, nella XIX dinastia, da Ramesse II. La “Stele della restaurazione”, redatta durante il regno di Tutankhamon e collocata, non a caso, nel tempio di Karnak, principale sede del culto di Amon, ben documenta questo processo di ritorno allo status quo religioso. La stele, tuttavia, venne poi usurpata da Horemheb che, cancellando il nome di Tutankhamon, si attribuì così il ruolo di restauratore dell’ortodossia. In sintesi, con la salita al trono di Tutankhamon l’atonismo amarniano venne rinnegato, ma il ruolo del figlio di Akhenaton in questo processo deve essere stato limitato. Altri hanno scelto per lui, guidando i suoi passi. Per ironia della sorte, a causa della fretta con cui vennero preparati la tomba e il corredo di Tutankhamon, non si ebbe il tempo si sostituire il celebre trono ricoperto di lamina d’oro, il cui schienale mostra il disco solare, Aton, che con i suoi raggi abbraccia Tutankhamon e la sua sposa. Un’iconografia sfuggita alla furia iconoclasta, che rende così imperitura la riforma religiosa di Akhenaton».   Le ricerche storiche attuali sul faraone Tutankhamon su cosa sono orientate? Su cosa possiamo realisticamente pensare di far luce nel medio periodo? «I due principali filoni di ricerca concernenti Tutankhamon attualmente attivi riguardano lo studio del suo corredo e la conservazione della sua tomba. Il primo potrebbe sembrare di poco conto e persino frivolo, ma non è così. Gli oggetti rinvenuti nel corredo del giovane sovrano – assai modesto, si può dedurre, se paragonato a quello di re più incisivi per la storia dell’Egitto – sono una fonte straordinaria di informazioni sulla vita quotidiana, l’arte militare e gli aspetti religiosi. Il mobilio, in particolare, era noto fino alla scoperta della tomba di Tutankhamon per lo più attraverso le iconografie di altri contesti tombali. Ancora più utili i dati ricavabili dai vestiti, dalla biancheria, dai sandali, dai monili. Se si considera che gran parte di questi materiali non è ancora stata studiata nel dettaglio – si calcola che solo il 30% del corredo sia stato analizzato con la cura che si conviene –, si può facilmente immaginare quante altre scoperte la tomba possa rivelare in futuro. L’altra grande sfida riguarda la salvaguardia della tomba KV62. Recentemente, un’equipe multidisciplinare diretta dall’archeologo Kent Weeks, un veterano degli scavi nella Valle dei Re, sovvenzionata dalla Getty Foundation, oltre a confermare che la tomba di Tutankhamon è stata realizzata in tutta fretta e senza troppa cura per la tecnica (numerose sono, per esempio, le colature di colore sulle pareti della camera funeraria, l’unica dipinta dei quattro ambienti che la compongono, del resto), ha rivelato che le vistose infestazioni di funghi e le grandi concrezioni saline che interessano l’intera superficie pittorica si sono formate subito dopo la conclusione del cantiere, anche a causa della scelta non lungimirante del sito in cui la tomba ipogea è stata scavata. Sono dunque danni strutturali e non c’è modo di eliminarli del tutto, se non rischiando di danneggiare i pigmenti. Mantenere quantomeno l’attuale stato di cose è una delle sfide più grandi del prossimo futuro. Del resto, Kent Weeks ha saggiamente commentato che al momento la Valle dei Re ha più bisogno di restauratori che di egittologi o archeologi».   Dopo la morte di Lord Carnarvon, finanziatore dell’archeologo Howard Carter, si cominciò a parlare di “maledizione di Tutankhamon”. Perché l'immaginario collettivo fu colpito da questa leggenda legata alla scoperta della tomba del faraone?

«La scoperta della tomba di Tutankhamon ebbe una visibilità mediatica senza precedenti. Basti pensare che nel solo primo anno dalla scoperta essa venne visitata da più di 5.000 persone. Un numero enorme per quei tempi e un disagio non di poco conto per Howard Carter e i suoi collaboratori, che stavano documentando con grande scrupolosità ogni singolo reperto, tanto che ci sarebbe voluto un decennio per svuotare completamente la tomba. Tale lentezza, unita alla parsimonia con cui venivano fornite informazioni, determinò un’aura di mistero e di morbosa curiosità. Il fenomeno Tutankhamon produsse una vera e propria nuova ondata di egittomania, tanto che nel 1923 la Edison Records produsse persino un disco dal titolo Old King Tut, frutto del talento compositivo di Harry Von Tilzer (lo stesso delle Ziegfeld Follies del 1910) e del paroliere William Jerome. È in questo quadro che cominciò a circolare, ad arte, la leggenda della “maledizione di Tutankhamon”. In realtà l’unico membro della missione a morire durante lo scavo fu il finanziatore Lord Carnarvon, a causa delle conseguenze della puntura di un insetto. Howard Carter ebbe il tempo di ritirarsi a Londra, dove morirà solo nel 1939. La maledizione semmai la subì Tutankhamon stesso. A causa del clamore che per decenni ha circondato la scoperta, gli egittologi hanno sviluppato una sorta di disamore nei confronti di questo sovrano e della sua dimora per l’aldilà, quasi fosse troppo pop occuparsene. Solo di recente gli specialisti dell’Egitto antico hanno ricominciato ad interessarsi del figlio del “faraone eretico”, che in effetti ha ancora tanto da raccontare».

Di Christian Greco Come morì Tutankhamun? Se te lo stai domandando da un po’, sappi che la tua è una delle prime domande che anche Carter e la sua squadra si fecero e alla quale provarono a rispondere, non appena riuscirono ad accedere al corpo. La cosa fondamentale da fare per capire le cause della morte del faraone era un’autopsia. Ma come si fa un’autopsia a una mummia di 3000 anni? In realtà, prima di raccontartelo, devi sapere che nell’antico Egitto la vita media era di poco più di 30 anni. Questo significa che metà della popolazione moriva prima di compierli. La mortalità tra i bambini era altissima, e solo poche persone raggiungevano un’età avanzata. Le cause erano diverse: malattie che oggi possono essere curate, morsi di serpenti o scorpioni, infezioni e cadute. E questo valeva per tutti, anche per re, regine, principi e principesse. Morire intorno ai 20 anni, come Tutankhamun, non era tanto raro. Ma la morte di un faraone ovviamente aveva un impatto significativo sull’intero paese e conoscere come morì può aiutarci a capire meglio gli eventi di tutto quel periodo storico. L’autopsia del corpo del faraone cominciò 1’11 novembre 1925, nel corridoio della (solita) tomba di Seti II. L’operazione fu condotta da Douglas Derry, professore di anatomia presso l’Università del Cairo, e da Saleh Hamdi Bey, professore della facoltà di medicina all’Università di Alessandria, alla presenza di Carter, Lucas, Burton e diversi funzionari e personalità egiziane ed europee. Arrivare al corpo del faraone era stata un’operazione lunga e complessa. Tutankhamun era stato infatti sepolto all’interno di tre sarcofagi antropoidi, cioè con le sembianze di un uomo, inseriti uno dentro l’altro e infine tutti insieme in un sarcofago in pietra, a sua volta custodito da quattro grandi casse dorate. Il cuoco era stato moncato all’interno di una stanza molto piccola, fino praticamente a riempirla del tutto. Si tratta delle misure più complesse mai ritrovate in una tomba per proteggere la mummia. Dopo un paziente lavoro di smontaggio delle casse dorate e di apertura dei primi due sarcofagi, il 28 ottobre Carter si trovò finalmente faccia a faccia con la celebre maschera d’oro, che nascondeva il volto di Tutankhamun. A prima vista il corpo sembrava ben conservato. Osservando più attentamente, la squadra notò però che il sudario, ovvero il telo che avvolgeva il corpo, sembrava carbonizzato. Subito pensarono che fosse un effetto degli unguenti a base di resina che erano stati sparsi sul corpo prima di chiudere il sarcofago. Il corpo e la maschera erano praticamente incollati alla base della cassa del terzo sarcofago. Bisognava staccarli, cercando di non rovinarli. Era necessario trovare il modo di sciogliere quella specie di colla. Carter fece portare il sarcofago fuori dalla tomba di Seti II e lo fece esporre al sole. Dopo diverse ore a una temperatura che toccava i 65 gradi (nel deserto si raggiungono temperature molto alte), gli unguenti erano ancora solidi, e Carter decise che gli esami della mummia potevano essere fatti solo all’interno della bara. L’11 novembre, quindi, di nuovo nella tomba di Seri II, gli archeologi versarono della cera sulle fragilissime bende esterne. Una volta solidificata, il professor Derry fece un’incisione longitudinale al centro, permettendo quindi di aprire i brandelli di lino e di cominciare a rimuoverli senza distruggerli. Dopo 3000 anni in un sarcofago, senza questo espediente quasi sicuramente il tessuto che avvolgeva il corpo del faraone si sarebbe polverizzato al primo tocco. Fatta eccezione per alcune piccole aree, tutte le bende erano nere. Nei suoi appunti, Lucas annotò che sembrava che tutto il corpo fosse carbonizzato a causa di un processo di combustione spontanea e, forse, per l’azione congiunta di un fungo. Nonostante questi danni, si riusciva comunque a capire che gambe e braccia erano state bendate separatamente dal tronco. La pelle non aveva l’aspetto secco e simile al cuoio, tipico delle mummie, a cui erano abituati Carter e gli altri membri della squadra, ma dava l'impressione appunto di aver subito le conseguenze di quel processo di combustione di cui Lucas aveva parlato nei suoi appunti. Derry stabilì che il sovrano doveva essere alto 1 metro e 67 centimetri e che probabilmente era morto in un’età compresa fra i 17 e i 19 anni. Le braccia erano piegate all’altezza dei gomiti, in posizione parallela, con l’avambraccio sinistro sopra quello destro, proprio come si vede su tutti e tre i sarcofagi. Queste prime informazioni, però, non dicevano ancora nulla del grande mistero: come era morto il faraone? Bisognava andare più a fondo e, per farlo, era necessario estrarre il terzo sarcofago dal secondo e togliere la maschera d’oro alla mummia. Il corpo del faraone era stato letteralmente ricoperto di unguento che, una volta solidificato, lo teneva fissato alla maschera e al sarcofago come una colla durissima. La conservazione del corpo, tanto cara agli antichi Egizi, era proprio basata sulla realizzazione di una specie di bozzolo che doveva restare inaccessibile. Per accedere al volto del sovrano, dunque, Carter decise di ricorrere alle maniere forti. Per estrarre il terzo sarcofago dal secondo, Carter decise di provare a sciogliere l’unguento solidificato esponendolo a un calore di oltre 500 gradi. Bisognava, però, fare in modo che la temperatura così alta non rovinasse nulla. Perciò, il sarcofago fu rovesciato e appoggiato a pancia sotto su alcuni cavalletti, e la superficie esterna venne rivestita con parecchie coperte imbevute d’acqua e tenute costantemente bagnate perché facessero da barriera al caldo eccessivo. Poi furono disposte sotto la cavità varie fiamme ossidriche accese al massimo. Ci vollero parecchie ore prima che si potessero notare dei risultati. Quando fu chiaro che l’esposizione al forte calore aveva raggiunto il suo obiettivo, le fiamme ossidriche vennero spente e i sarcofagi furono lasciati sui loro sostegni. I primi segni di movimento furono quasi impercettibili, perché il materiale era estremamente tenace, ma poi diventarono sempre più evidenti, fino a quando non fu possibile sfilare verso l’alto il secondo sarcofago, lasciando il terzo sui trespoli. La maschera era ancora all’interno del sarcofago ed era stata protetta da una coperta imbevuta d’acqua. Aveva, tuttavia, assorbito calore, per cui si riuscì a staccarla dal fondo, dove rimase la sostanza viscosa che si dovette togliere ricorrendo di nuovo alla fiamma ossidrica e ai solventi. Il 16 novembre il corpo era stato ormai sbendato ed era pronto per essere rimosso dal sarcofago. Il problema era la maschera d’oro, così saldamente adesa alla testa che fu necessario usare alcuni coltelli arroventati per staccarla e per rivelare finalmente il volto del faraone. Questo si presentava con un’epidermide molto fragile, di colore più scuro rispetto a quella del corpo, e con parti sfigurate a causa del processo di essiccazione dovuto alla mummificazione. Il capo era stato rasato e i lobi delle orecchie avevano dei buchi di circa 0.75 centimetri di diametro. Sulla guancia sinistra c’era una lesione rotonda. Il naso si era appiattito per la pressione delle bende, e le narici e gli occhi erano stati riempiti con tessuti imbevuti di resina. Il cranio era vuoto, fatta eccezione per una piccola quantità di sostanza resinosa introdotta tramite il naso. Il professor Derry notò anche una frattura alla gamba sinistra, ma non fu in grado di stabilire le cause della morte. Nel 1926 Carter riportò la mummia all’interno della sua tomba. © 2022, De Agostini Libri S.r.l. (Già Dea Pianeta Libri).  

Sandro Vannini è il fotografo che ha lavorato più tempo nella storia con il tesoro di Tutankhamon e possiede il più grande archivio fotografico digitale al mondo sull’Antico Egitto. Storie di Storia lo ha incontrato.

Nel solco del fotografo ed egittologo inglese Harry Burton, che un secolo fa fotografò per primo gli oggetti della tomba di Tutankhamon, lei contribuisce nel nostro tempo a diffondere e raccontare la leggenda del giovane faraone.  «È un’emozione fortissima. Tutankhamon segna le attività di qualsiasi fotografo che in Egitto debba occuparsi dell’antichità. Il ritrovamento della sua tomba dal punto di vista mediatico globale è stato incredibile. Il tesoro del faraone ha scatenato l’immaginazione di tutto il mondo facendone una storia di valore assoluto».

Qual è il valore del tesoro di Tutankhamon e cosa ha significato fotografarlo? «È il più importante tesoro ritrovato della storia. Tra i tanti oggetti, mi hanno sempre impressionato i gioielli, per la loro fattura veramente straordinaria. Un lavoro di arte orafa che non ti aspetteresti da artigiani di quel periodo. Pensate che ci sono le chiusure delle collane e dei bracciali che sono ancora funzionanti… È incredibile. Ho cominciato ad occuparmi del tesoro per caso. Ero in Egitto proprio nel momento in cui si decise di rimandarlo in giro per il mondo, cosa che non avveniva dagli anni ’70. Ho cominciato a collaborare con le diverse attività collegate alle mostre del tesoro, curate dal promoter John Norman. Sono stato l’unico ad aver avuto accesso al tesoro, liberato dalle sue vetrine, prima della partenza della tournée della mostra “KING TUT. Treasures of the Golden Pharaoh”. Sono stato a contatto con gli oggetti rinvenuti nella tomba per tantissimo tempo, producendo un grande numero di immagini digitali ad altissima risoluzione con una tecnica che permette agli storici di osservare il tesoro come mai prima d’ora, riuscendo a guardare i più piccoli particolari».

Il documentario da lei prodotto – “Tutankhamon l’ultima mostra” – narra il secondo grande viaggio del faraone tremila trecento anni dopo quello verso l'aldilà. Che importanza ha questa mostra di cui lei ha prodotto i contenuti visivi ? «Il film documenta lo spostamento di 150 oggetti del tesoro di Tutankhamon per la più grande mostra internazionale dedicata al faraone. In esclusiva mondiale ho seguito quella che è stata l’ultima mostra in assoluto dedicata al tesoro, perché per volere del governo egiziano ora questo patrimonio immenso è diventato inamovibile e potrà essere visitato solo nella sua sede del Cairo. A Parigi la mostra ha battuto il record di visitatori nella storia francese: un milione e mezzo di visitatori. La tappa successiva, quella di Londra, fu bloccata dopo pochi mesi per il Covid».

Libro: Nicholas Reeves, The Complete Tutankhamun, Thames & Hudson, 2003 Documentario: Tutankhamon. L’ultima mostra. Con Manuel Agnelli e Iggy Pop, diretto da Ernesto Pagano. Prodotto da Laboratoriorosso e Nexo Digital. Un racconto straordinario che ripercorre, attraverso le immagini ad altissima definizione realizzate da Sandro Vannini, l’ultima grande mostra di Tutankhamon. Mostra: Tutankhamun: Excavating the Archive. Dal 13 aprile 2022 al 5 febbraio 2023. Presso Weston Library, The Bodleian Libraries, University of Oxford. Broad Street, Oxford, OX1 3BG. Ingresso gratuito. Utilizzando l’archivio di Howard Carter, composto da fotografie, lettere, progetti, disegni e diari – custodito nel Griffith Institute di Oxford – la mostra fa rivivere le complesse storie della scoperta, dello scavo, della documentazione e della conservazione della tomba di Tutankhamon, includendo i membri egiziani del team archeologico, spesso trascurati. Luogo: Tomb of Tutankhamun. PJR2+4HV, Kings Valley Rd, New Valley Governorate, Egypt.  Aperto tutta la settimana dalle 7.00 alle 17.00. Costo biglietti per visitatori stranieri: Adulti EGP 300 / Studenti EGP 150. Biglietti per visitatori arabi: Adulti EGP 40 / Studenti EGP 20. La tomba del re della XVIII dinastia Tutankhamon è famosa in tutto il mondo perché è l'unica tomba reale della Valle dei Re ad essere stata scoperta relativamente intatta. La sua scoperta nel 1922 è tuttora considerata una delle più importanti scoperte archeologiche mai avvenute. 

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